Paolo Mestriner + Massimiliano Spadoni + Andrea Sa
Centro incontro G. Cristina - Interno Cortile
ABITARE IL PAESAGGIO AMENO
Laboratorio di Progettazione Architettonica I° annualità - Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura e Società, Corso di Scienze dell'architettura - Prof.ri Arch.tti Paolo Mestriner, Massimiliano Spadoni, Andrea Savio – Tutors: Ornella Bortolato, Guglielmo Comini, Michele Corno, Erica Rodolfi.
Il laboratorio indaga il rapporto tra architettura e natura attraverso la progettazione di un piccolo manufatto inserito nel paesaggio, sia esso urbano, periurbano o territoriale. Una selezione di progetti, differenti per tipologia e localizzazione geografica, esposti in una corte del centro storico, attraverso un'installazione che mira a dialogare con il luogo che li ospita.
Il primo atto progettuale è l’esperienza fisica dell’abitare, il misurare il proprio corpo e lo spazio che lo contiene. Ci si accosta poi ai luoghi, al luogo che ci accoglie. Vuole dire anche avvicinarsi a qualcosa. Nell’avvicinamento troviamo la misura, la distanza. Ciò che sta tra. Un approccio inteso come primo contatto, come modo di procedere. Camminare. Fare esperienza del paesaggio. Che poi vuole dire abitarlo, indossarlo. Nel senso di abito. Indossare il paesaggio significa farlo proprio. Porre un oggetto in relazione con il territorio vuole dire fare paesaggio, vuole dire farne parte, prenderne parte. Credo che posizionare un oggetto – qualsiasi oggetto - sia cosa difficile perché quest’oggetto è paesaggio, diventa paesaggio, indossa o viene indossato dal paesaggio. Abito, ma anche abitudine come costume, o tradizione. Abitare come ri-siedere. Ecco allora che il primo atto è sedersi e far sedere. Sedersi come segno di appartenenza, come appropriazione e riappropriazione di uno spazio, di un luogo. Come gesto archetipo. Significa soprattutto misurarsi con le cose. Ecco perché è così importante avere un contatto fisico con i luoghi e con la materia dei luoghi. Non c’è architettura senza corporeità, senza esperienza corporea. Che poi vuole dire conoscere e conoscersi incontrando la propria esperienza. Andare incontro a quella familiarità con le cose e con i luoghi che viviamo e che abbiamo dentro.
Laboratorio di Progettazione Architettonica I° annualità - Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura e Società, Corso di Scienze dell'architettura - Prof.ri Arch.tti Paolo Mestriner, Massimiliano Spadoni, Andrea Savio – Tutors: Ornella Bortolato, Guglielmo Comini, Michele Corno, Erica Rodolfi.
Il laboratorio indaga il rapporto tra architettura e natura attraverso la progettazione di un piccolo manufatto inserito nel paesaggio, sia esso urbano, periurbano o territoriale. Una selezione di progetti, differenti per tipologia e localizzazione geografica, esposti in una corte del centro storico, attraverso un'installazione che mira a dialogare con il luogo che li ospita.
Il primo atto progettuale è l’esperienza fisica dell’abitare, il misurare il proprio corpo e lo spazio che lo contiene. Ci si accosta poi ai luoghi, al luogo che ci accoglie. Vuole dire anche avvicinarsi a qualcosa. Nell’avvicinamento troviamo la misura, la distanza. Ciò che sta tra. Un approccio inteso come primo contatto, come modo di procedere. Camminare. Fare esperienza del paesaggio. Che poi vuole dire abitarlo, indossarlo. Nel senso di abito. Indossare il paesaggio significa farlo proprio. Porre un oggetto in relazione con il territorio vuole dire fare paesaggio, vuole dire farne parte, prenderne parte. Credo che posizionare un oggetto – qualsiasi oggetto - sia cosa difficile perché quest’oggetto è paesaggio, diventa paesaggio, indossa o viene indossato dal paesaggio. Abito, ma anche abitudine come costume, o tradizione. Abitare come ri-siedere. Ecco allora che il primo atto è sedersi e far sedere. Sedersi come segno di appartenenza, come appropriazione e riappropriazione di uno spazio, di un luogo. Come gesto archetipo. Significa soprattutto misurarsi con le cose. Ecco perché è così importante avere un contatto fisico con i luoghi e con la materia dei luoghi. Non c’è architettura senza corporeità, senza esperienza corporea. Che poi vuole dire conoscere e conoscersi incontrando la propria esperienza. Andare incontro a quella familiarità con le cose e con i luoghi che viviamo e che abbiamo dentro.